In un affresco di quieta borghesia del dopoguerra si raccontano le estati di una famiglia nel podere ai piedi dell'Etna. Da anni, Luisa Adorno va dipingendo un affresco di quieta borghesia del dopoguerra: in libri sparsi nel tempo, con al centro le venture di una famiglia a rappresentare quella classe fino a un certo punto appartata e protetta nella storia d'Italia: intellettuali, professionisti, classe media legata alle radici campagnole, le cui virtù private, di tolleranza e naturale ironia, hanno attenuato e piegato, di volta in volta, declamanti pubblici vizi del paese; un comporsi di quadri e memorie collettive che meriterebbe il titolo di «una vita italiana». E di questa vita, - il cui senso più intimo, la cui luce, come in un Arco di luminara viene dal comporsi insieme delle luci di altre vite prossime, - il terzo romanzo di Luisa Adorno racconta le estati nel podere ai piedi dell'Etna. E sono estati di riti e abitudini delle generazioni, che inseguono, o si attardano fin dentro gli inverni della casa romana dove preme il rumore del mondo, e che lievemente non disperano di fermare la macchina del tempo. • Adorno è nata a Padova e vive a Roma. Ha collaborato a «Il Mondo» di Pannunzio e a «Paragone». I suoi romanzi L'ultima provincia (1983), Le dorate stanze (Premio Prato-Europa e Premio Pisa 1985), Arco di luminara (Premio Racalmare-Leonardo Sciascia e Premio Viareggio 1990), La libertà ha un cappello a cilindro (1993), Sebben che siamo donne (Premio Vittorini 1999) e Foglia d'acero (2001) pubblicati da questa casa editrice, sono tradotti in varie lingue. Nella stessa collana i racconti di Come a un ballo in maschera (1995). Con Jy ina tastnà ha curato la traduzione del romanzo di Helena mahelovà La fermata del treno dei boschi pubblicato nella collana «Il castello».